Sette inglesi a Milano

S. Buckley, B. Cohen, H.Cohen, B.Flanagan, J. Hoyland, R. Smith, W. Tucker

Inaugurazione: martedì 1 dicembre 2009 alle 18.30
Periodo espositivo: mercoledì 2 dicembre – lunedì 15 febbraio 2010
Orari della Galleria: da martedì a sabato dalle ore 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00

La mostra

Dal 1966 con la doppia personale di Phillip King e Richard Tucker fino al 1978 con l’ultima mostra dedicata a Richard Smith, la Galleria dell’Ariete di Beatrice Monti dedica una corposa serie di mostre alla nuova astrazione inglese. Sono anni di particolare interesse anche in Italia per i giovani artisti inglesi.
Nel 1966 i fratelli Bernard e Harold Cohen, Robyn Denny, Richard Smith e Anthony Caro rappresentano l’Inghilterra alla Biennale di Venezia, presentati da David Thompson. La Galleria Milano, che negli anni sessanta aveva già dedicato agli artisti Pop inglesi varie mostre (1966, “London under Forty”, 1968 Allen Jones, 1970 Colin Self e 1973 Peter Phillips), presenta ora, in collaborazione con Beatrice Monti una selezione di opere degli anni sessanta e primi anni settanta di sette protagonisti di quella ricerca astratta in pittura e scultura.  Per l’occasione è stato stampato un catalogo con testi in italiano e inglese.
“Negli ultimi anni la pittura e la scultura hanno uno spirito del tutto nuovo in Inghilterra. Si potrebbe sostenere che mai, prima della fine della guerra, ci sia stata una generazione di trentenni meno provinciale e più sicura della propria indipendenza. Una generazione che ha saputo rompere con il proprio passato e misurarsi con la pittura americana che veniva considerata una schiacciante minaccia.” (D. Thompson, catalogo del padiglione Britannico, Venezia Biennale 1966)
A Londra in quegli anni erano in corso sperimentazioni di ogni genere ben caratterizzate nella loro tipicità culturale. Come scrive James Faure Walker nel testo introduttivo del catalogo di questa esposizione: “. Tutto poteva essere scultura. Un quadro poteva essere triangolare oppure avere i contorni a zig zag. Anche gli odori erano cambiati: non più trementina, ma acrilico, pistole a spruzzo, tela olona; i rotoli di nastro adesivo, usati per le campiture hard edge, pendevano da tutte le pareti dello studio…. Nei Colleges non si veniva mai indottrinati. Erano rispettati i cosiddetti pensieri collaterali, le eccentricità, le stravaganze. Flanagan andava a disegnare allo zoo di Regent Park e fu un’altra mossa laterale quando, con le sue lepri divenne ‘figurativo’…Ma questo filone di arte astratta non si è mai spento. I recenti lavori di Bernard Cohen hanno sbalordito il pubblico: rapsodie di motivi e dissonanze elettrizzanti.  Nelle tele di Harold Cohen degli anni sessanta ritroviamo i codici e i diagrammi frammentari che preludono ai suoi lavori con il computer. H. Cohen in California ha elaborato AARON, il software – suo alter ego – che esprime tutta la sua sensibilità pittorica. Il fogliame lussureggiante, dall’aspetto organico, ha il sapore di una autentica pittura, sebbene sia stata immaginata da una macchina, e questo fa sì che H. Cohen sia considerato un vero pioniere, capace di aprire le porte a una nuova era. I vecchi lavori di John Hoyland esprimono già l’irrequietezza, l’energia, l’ardire e la bellicosità della sua splendida tavolozza tropicale recente.” William Tucker continua ad investigare sul linguaggio della scultura e sul rapporto con lo spettatore sia con i suoi lavori che con scritti teorici e Richard Smith, in tempi recenti ha avuto anche molti incarichi di arredo urbano “negli Stati Uniti, in Venezuela al Museo d’Arte Contemporanea, all’aeroporto di Louisville e al Peak Center di Hong Kong.

gli artisti
S. Buckley, B. Cohen, H.Cohen, B.Flanagan, J. Hoyland, R. Smith, W. Tucker